La fascite plantare è una patologia che interessa la regione plantare della struttura podalica, più comunemente all'inserzione prossimale sul tubercolo mediale del calcagno dell’aponeurosi plantare. Il disturbo, caratterizzato principalmente da un dolore nella regione calcaneare inferiore mediale (ramificato lungo la fascia plantare) nei primi passi al mattino, è descritto essere la causa più comune di dolore al tallone inferiore nei soggetti atleticamente attivi, e le persone con stili di vita sedentari. La prevalenza della malattia non è stata fin oggi valutata, ma si stima che circa 2 milioni di americani per anno riceve il trattamento per la fascite plantare. Si riscontra nei soggetti giovani fisicamente attivi come i corridori e il personale militare, ma è anche diffusa nella popolazione in generale di età compresa tra i 40 e i 60 anni. Nella popolazione non-atletica, si manifesta frequentemente nelle persone obese e in quelle che svolgono occupazioni che richiedono la stazione eretta per periodi prolungati di tempo, come operai, magazzinieri, infermieri, estetiste e parrucchieri. Cosa si intende per fascite plantare.
La nomenclatura “fascite plantare” si presume essere sinonimo d’infiammazione della fascia plantare, poichè il suffisso"-ite" indica una malattia infiammatoria. Ma occorre specificare se prendere in considerazione un processo infiammatorio, piuttosto che un disturbo. Per definizione, l’infiammazione è caratterizzata in una fase acuta da segni clinici di dolore, calore, arrossamento, gonfiore e perdita di funzione, e istologicamente da accumulo dei leucociti. In caso di assenza di cellule infiammatorie, quindi di infiltrazione leucocitaria o macrofagica, si parla di “fasciosi plantare o fasciopatia plantare”, in particolare una sindrome cronico degenerativa che causa una limitazione caratterizzata da un dolore localizzato dalla tuberosità calcaneare plantare nella sua porzione antero-mediale ed esteso lungo la fascia plantare. Per la prima volta fu descritta da Wood nel 1812 che attribuì questa patologia, in modo erroneo, alla tubercolosi. Da allora la fascite plantare è individuata con molti pseudonimi tra cui: tallone del corridore, inserzionite della fascia plantare, dolore calcaneare, calcaneodinia, tallonite, etc. L’eziologia della fascite plantare è ampiamente descritta in letteratura caratterizzata da numerevoli fattori eziologici. Bisogna specificare che la maggior parte degli autori in letteratura scientifica medica non forniscono alcuna evidenza clinica o istologica per sostenere l’entità o la presenza della fascite plantare.
Perché fa male
La fascia plantare rappresenta la zona più sensibile del piede, essa è sottoposta a continue sollecitazioni durante la deambulazione, per questo motivo sono frequenti e molteplici le patologie che possono svilupparsi. Quando un paziente soffre di fascite plantare il tessuto connettivo che forma la volta plantare si sfibra degenerando ed infiammandosi. Entrambe queste anomalie possono rendere piuttosto dolorose attività comuni. Il sintomo principale della fascite plantare è proprio il dolore e a seconda della localizzazione del dolore, distinguiamo fascite plantare prossimale quando il dolore è in prossimità del tallone, che può anche mostrare un modesto gonfiore e fascite plantare distale quando il dolore si localizza più lungo la pianta del piede o verso le dita. La fascite plantare è la causa più comune di dolore al tallone causata spesso da stress continui o da traumi ripetuti. La sintomatologia presenta:
Dolore avvertito sulla superficie inferiore del tallone
Dolore può incrementarsi con la dorsiflessione attiva delle dita dei piedi
Intenso dolore plantare al carico, si intensifica la mattina ai primi passi dal risveglio
Dolore esacerbato dopo pochi minuti di corsa con peggioramento dei sintomi
Dolore profondo localizzato nella regione anteromediale della tuberosità del calcagno;
Cosa si può fare.
La fascite plantare va affrontata e curata il prima possibile altrimenti i tempi di guarigione potrebbero prolungarsi fino a diversi mesi. Le possibilità terapeutiche sono varie e la letteratura suggerisce come primo approccio i trattamenti conservativi che consistono nel riposo, farmaci antinfiammatori non steroidei, ortesi plantari ed esercizi di stretching. Nei pazienti con fascite plantare cronica recidivante possono essere utilizzate onde d’urto e le iniezioni di corticosteroidi. La chirurgia può essere presa in considerazione quando falliscono i trattamenti conservativi (9-12mesi) e le possibilità chirurgiche sono varie (fasciotomia plantare, resezione della spina, release abduttore dell’alluce). Il riposo è considerato una tappa fondamentale per gli sportivi, come prevenzione di recidive o peggioramento del quadro clinico.
Le terapie conservative rimangono gli approcci migliori per il trattamento della fascite plantare infatti gestiscono con successo nel 85-90% dei casi. Dalle linee guida della pratica clinica del 2010 dell’American College of Foot and Ankle Surgeons si raccomandano i trattamenti conservativi per la gestione iniziale del dolore al tallone con i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), esercizi di stretching specifici per la fascia plantare e ortesi plantari.
Questa modalità di trattamento della fascite plantare è semplice ed economica; tuttavia, non sono state stabilite le raccomandazioni per un ottimale durata e frequenza di esecuzione degli esercizi. In conclusione i protocolli terapeutici di tipo conservativo sono da ritenersi il gold standard per il trattamento della fascite plantare, mentre la valutazione chirurgica è da considerarsi come ultima alternativa.
La Podologia. Essendo i trattamenti conservativi suggeriti come primo approccio dalla letteratura internazionale, il podologo riveste un ruolo fondamentale nella gestione iniziale della fascite plantare e nella prevenzione, sia dell’episodio primario che delle recidive, soprattutto per gli atleti i quali sono maggiormente esposti a questo problema a causa della maggiore richiesta funzionale dell’attività sportiva praticata. Il podologo innanzitutto ha un ruolo importante nell’individuazione dei fattori predisponenti tramite un accurata anamnesi ed esame obiettivo. L’anamnesi si focalizza su:
L’età del paziente
Le condizioni predisponenti
La modalità di comparsa del dolore (es. dolore durante i primi passi del mattino)
La frequenza di insorgenza del dolore
Le condizioni associate
Un accurata indagine sull’attività sportiva praticata dal paziente
La frequenza di allenamento
Il tipo di terreno praticato durante l’attività sportiva
Le attrezzature sportive e le calzature utilizzate dal paziente durante l’attività sportiva.
L’esame obiettivo deve comprendere la valutazione del paziente in:
Clinostatismo (in decubito supino e prono) per individuare alterazioni strutturali, stabilire il punto di massimo indolenzimento, valutare l’irradiazione del dolore, valutare i Rom articolari e il rapporto retro-avampodalico. Questo permette di rilevare scompensi che verranno eventualmente compensati in carico provocando spesso un alterazione del normale ciclo della deambulazione
Ortostatismo per valutare in carico l’allineamento del retropiede e l’atteggiamento globale del piede; l’esame della deambulazione, per valutare il comportamento del piede durante il gait cycle, considerando le valutazioni fatte in precedenza in clinostatismo e in ortostatismo, rilevando eventuali alterazioni del normale ciclo della deambulazione che possono predisporre ad un maggior rischio di fascite plantare e/o tendinopatie del tendine di Achille
Analisi della calzatura, in cui è necessario stabilire se la calzatura è indicata per il tipo di sport praticato e per il tipo di piede dell’atleta. Una parte importante è rappresentata dall’analisi del consumo della calzatura (in riferimento allo sport praticato), analizzando la tomaia, con eventuali deformazioni, la soletta interna, che evidenzia gli appoggi e il consumo dei tacchetti qualora presenti.
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